i fontanari torremaggioresi


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comunicati USB

8 MARZO 2012, C’E’ ANCORA MOLTO DA FARE…


Sono 245.462 gli infortuni sul lavoro che nel 2010 in Italia hanno coinvolto le donne, pari al 31,6% del dato complessivo. I settori di attività con maggiore incidenza infortunistica femminile sono nell’ordine: collaborazione domestica, sanità e servizi sociali, enti pubblici e locali. La maggior parte degli incidenti mortali che riguardano l’attività lavorativa delle donne avviene in itinere, nel tragitto casa/lavoro/casa.

Le donne rappresentano il 51,5% della popolazione in Italia, ma solo il 40,4% del totale dei lavoratori. Il 30% delle madri interrompe l’attività lavorativa per motivi familiari e solo quattro su dieci riprendono a lavorare, con differenze evidenti tra nord e sud.

Nel 2010 solo il 18% dei bambini sotto i due anni ha usufruito di uno dei servizi per la prima infanzia, come gli asili nido, un dato che mostra quanto siano ancora inadeguati i servizi nel nostro Paese.

Nel 2011 i morti per cause collegate al lavoro sono stati 1.170, di cui 663 sui luoghi di lavoro e gli altri in incidenti stradali o in itinere. La maggior parte degli infortuni mortali per lavoro riguarda gli uomini. Toccherà poi alle donne mandare avanti la famiglia, senza un aiuto da parte dello Stato o dell’Impresa.

C’è ancora molto da fare perché la donna in Italia abbia pari opportunità di lavoro e di carriera rispetto agli uomini, perché siano rispettate le misure di sicurezza sul lavoro, perché lo Stato risponda alle esigenze dei cittadini con servizi adeguati.

C’è ancora molto da conquistare e ben poco da festeggiare. Pensiamo si debba proseguire insieme, uomini e donne, nel difficile cammino per ottenere il rispetto della dignità di lavoratrici e di lavoratori, ma prima ancora di persone.

... anche per impedire che certe donne facciano del male alle altre donne!

L'auspicio del ministro Fornero affinchè la chiusura dell'accordo sul mercato del lavoro porti la firma di tre donne – Fornero, Marcegaglia, Camusso – vorrebbe essere inteso come messaggio positivo alla vigilia della festa della donna dell'8 marzo.

Si tratta invece di uno messaggio intriso di ipocrisia e di inquietante conseguenze. E' sufficiente ricordare quanto peserà sulla vita delle donne l'allungamento dell'età pensionabile ottenuto senza colpo ferire, oppure quanti danni a quel pezzo di società – più della metà si ricorda spesso – che è costretta al doppio lavoro dentro e fuori dai luoghi della produzione e dei servizi.

“Occorre lavorare di più e più a lungo” ha dichiarato il governatore della Banca d'Italia Visco. Fino a morire di lavoro o – nel caso delle donne – di doppio lavoro perchè oltre alle “sorti del paese e del suo aggancio con l'Europa”, occorre tenere a mente tutti i giorni un lavoro di cura dei propri familiari ormai in via di completa dismissione da parte dello Stato e degli ex servizi pubblici. E' in tale contesto che categorie consolatorie come “le pari opportunità” aggiungono ipocrisia a ipocrisia.

Non sappiamo se l’eventuale firma su accordi che penalizzeranno i lavoratori e ancora di più le lavoratrici sarà di tre donne o di donne e uomini insieme, sappiamo bene però che a fare la differenza saranno gli interessi di classe e le esigenze di vita al quale quegli accordi daranno la priorità. Ci stanno facendo la guerra, almeno ci risparmino l'ipocrisia.

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NOTAV. Chi sono i provocatori?



27/02/2012
Ce n’erano tutte le premesse: chi vuole ad ogni costo sconfiggere la lunga lotta delle popolazioni della Val Susa ha messo all’opera tutto il bagaglio classico delle manovre per criminalizzare una mobilitazione che non demorde e che sta facendo scuola fino ad arrivare alle provocazioni pesanti.

In primo luogo gli arresti degli attivisti NO TAV ordinati dal Procuratore di Torino Caselli, poi le sue dichiarazioni in ordine al fatto di sentirsi minacciato, con cui bollava come antidemocratici violenti e mafiosi chi lo contestava; a seguire Manganelli, capo della polizia, che paventa assassini in Val Susa ad opera degli ‘ anarchici’ ed infine Mortola, capo della Polizia ferroviaria di Torino che accoglie alla stazione con violente cariche, del tutto ingiustificate, i manifestanti di ritorno dalla grandissima e pacifica manifestazione che ieri ha in tutta la valle ha ribadito il rifiuto all’alta velocità ed il diritto delle comunità a decidere del destino del proprio territorio.

Questa mattina poi l’apice della provocazione: occupazione militare dei terreni per permetterne l’esproprio e inseguimento su un traliccio dell’alta tensione di Luca Abbà, uno dei più noti attivisti NOTAV.

Era salito sul traliccio per tentare di ritardare le operazioni di esproprio, attraversato dall’alta tensione è caduto a terra ed è in gravi condizioni.

Il governo Monti sta mostrando tutta la sua ferocia in Val di Susa come sul terreno dell’attacco ai diritti dei lavoratori proprio nel momento in cui la sua popolarità è in forte discesa: sta diventando chiaro a tutti come le sue decisioni siano a senso unico, a pagare sono sempre i più deboli.

Alle compagne e ai compagni impegnati nel movimento NO TAV, a tutti coloro i quali in queste ultime settimane sono colpiti dalla repressione mentre lottano per i propri bisogni assicuriamo non solo la solidarietà ma l’impegno attivo dei tutta l’Unione Sindacale di Base, a partire dalla partecipazione a tutte le iniziative di mobilitazione che oggi e nei giorni prossimi saranno messe in campo in Piemonte e nel resto del paese.

L’Unione Sindacale di Base di Torino ha proclamato lo sciopero generale di tutto il settore privato nel territorio provinciale per domani, 28 febbraio.

USB Unione Sindacale di Base

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Qual è lo spread che applicheranno al nostro futuro?


09/02/2012

Le dichiarazioni di questi giorni dei Prof. Monti e Fornero nonché della Ministra Cancellieri, ma, cosa più importante, le dichiarazioni che emergono circa il tavolo aperto sulla riforma del lavoro e degli ammortizzatori sociali, comprese quelle di Confindustria e cgil cisl e uil, richiedono una forte e incisiva risposta al di là dell’indignazione.
Il quadro è chiaro e preoccupante.

Dopo aver messo le mani sulle pensioni con la ignobile scusa di garantire i giovani, ma di fatto livellando tutti al ribasso, cioè allontanando per tutti l’eta’ pensionabile, hanno lanciato una OPA ostile sui diritti dei lavoratori, precari e disoccupati promettendo ricchi dividendi fatti di tutele e reddito per tutti che però, come essi stessi dicono, non daranno a nessuno “per carenza di risorse”.

Hanno fatto aggiotaggio facendo svalutare la dignità dei lavoratori stabili, dei precari e giovani con il marketing del fannullone, bamboccione, cuore di mamma.

Hanno invitato i disoccupati e i giovani a delocalizzarsi ed "investire all'estero", tradotto: a rifare le valige di cartone e emigrare altrove.

Hanno fatto un trust, tra CGIL-CISL-UIL, Confindustria, Banche e mezzi di informazione, per aggiudicarsi il loro pacchetto azionario nella riforma del mercato... “degli schiavi” e compartecipare al dividendo degli utili della svendita dei diritti del lavoro.

...E fanno in fretta. A marzo vogliono chiudere l'affare sulla nostra pelle!

MA NOI NON VOGLIAMO ESSERE TITOLI SPAZZATURA!


Rispondiamo alle loro offese con la nostra rabbia, occupiamo la piazza affari dove si vendono i nostri diritti per fermare la speculazione sul nostro futuro.

Come USB lanciamo a tutti i disoccupati, precari, collettivi, coordinamenti, organizzazioni del sindacalismo conflittuale l'appello per la costruzione di un incontro/assemblea nazionale che programmi tutte le iniziative necessarie per rispondere con una grande mobilitazione generale e generazionale ad anni di offese e sfruttamento e ottenere l'unica cosa che abbiamo imparato essere fondamentale e che nessun professore ci può insegnare o scippare: la total security fatta di lavoro e reddito stabili e dignitosi, pensioni vere per persone vive.

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Un’Europa matrigna sacrifica i popoli sull’altare del rigore




31/01/2012
Il Consiglio Europeo, composto dai capi di governo dei 27 paesi aderenti, ha varato ieri il nuovo trattato di stabilità economica e monetaria; lo hanno firmato in 25, tranne Gran Bretagna e Repubblica Ceca.

E’ opportuno analizzarne, anche se per sommi capi, i contenuti visto che regolerà, imponendo norme e leggi di ferro, a partire dal 2013 le politiche economiche dei singoli paesi e che da esso dipenderanno le condizioni di vita e di lavoro di tutti noi.

Si conferma la ‘regola d’oro’ del pareggio in bilancio, che dovrà essere inserito nelle singole costituzioni o in leggi equivalenti, in base al quale il rapporto deficit/PIL non potrà avere un disavanzo superiore allo 0,5%. I paesi che supereranno questa quota saranno puniti con una multa pari allo 0.1% del PIL.

Il debito pubblico non potrà superare il 60% del PIL; la quota eccedente tale soglia dovrà essere ridotta del 5% l’anno entro un lasso di tempo pari a 20 anni. Poiché il debito pubblico italiano attualmente è nettamente il doppio di tale soglia a Monti è stato concesso di ridurlo di circa il 3% l’anno, misura che comunque comprometterà pesantemente la futura crescita e lo sviluppo del nostro paese.

Sul Meccanismo di Stabilità Europeo, ESM, cioè il fondo salva stati, non si è presa alcuna decisione, rimandando il problema a Marzo, per la decisa opposizione della Germania sia ad aumentare il fondo a 750 miliardi di Euro come pure chiede il Fondo Monetario Internazionale sia in attesa di come evolverà la vicenda greca che le politiche rigoriste imposte dall’Europa stanno conducendo al default.

Ultimo capitolo: i nuovi finanziamenti europei che nonostante il vertice di ieri fosse dedicato anche alla crescita e all’occupazione soprattutto giovanile, si sono risolti in 82 miliardi da versare agli stati, all’Italia ne toccheranno 8: non si tratta di denaro fresco ma di fondi strutturali già stanziati e non utilizzati che saranno erogati sotto stretta sorveglianza della Commissione Europea che invierà propri esperti a vigilare sulle trattative tra governi e parti sociali per la loro destinazione.

Nessuna misura sull’opportunità di regolare in qualche modo i mercati finanziari o sulla tassazione delle transazioni finanziarie solo rigore, rigore, rigore, da un’Europa fortemente aggrappata all’ideologia liberista che ha già prodotto danni irreparabili in Grecia, Portogallo Spagna e Irlanda e ne sta producendo altrettanti in Italia.

In soldoni, secondo tale trattato in 20 anni il nostro paese dovrà dimezzare il proprio debito pubblico, oggi pari a circa 1900 miliardi di Euro e per farlo dovrà ogni anno varare manovre economiche scarnificanti: lacrime e sangue non basteranno più. Assisteremo a pesantissimi tagli in tutti i settori della spesa pubblica, ad ulteriori attacchi ai dipendenti pubblici, a privatizzazioni selvagge, ad una disoccupazione stellare, e non basterà a salvarci il fatto che nel consolidamento dei bilanci si provvederà ad evitare tagli alla cieca a scuola, ricerca, fonti rinnovabili.

Un’Europa matrigna sorda alle condizioni reali dei paesi in difficoltà economica, travolti da una recessione aggravata dalle stesse politiche di rigore imposte dalla Ue, ieri è stata accolta da uno sciopero generale che in Belgio ha paralizzato dopo 19 anni il paese e contro cui si è rivolto lo stesso sciopero dei sindacati di base in Italia il 27 gennaio appena passato.

Se queste sono le prospettive causate da una dissennata e miope politica europea, rigidamente monetarista, a noi il compito di ribadire che IL DEBITO NON LO PAGHIAMO, di continuare ad organizzarci contro Monti ed il suo Governo, di opporci ad una deriva sindacale impersonata da CGIL CISL UIL che facendo strame della democrazia sindacale, si apprestano a
sacrificare diritti e bisogni di tutti noi sull’altare del nuovo patto sociale.
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In arrivo liberalizzazioni, privatizzazioni, attacco ai contratti nazionali e all'art.18. Così Monti, Passera e la Fornero continuano a distruggere il welfare, i servizi pubblici ed il lavoro





Il decreto sulle liberalizzazioni del governo Monti contiene misure che preparano la liquidazione di molti degli attuali servizi pubblici, compresa la privatizzazione del trasporto locale, degli altri servizi locali e dell'acqua, infischiandosene del voto di 27 milioni di italiani che si era espresso per il mantenimento dell'acqua pubblica.
Ma c'è anche la soppressione dell'obbligo dell'applicazione del contratto nazionale di settore nelle ferrovie, preludio questo ad un attacco più chirurgico rispetto all'intero impianto della contrattazione e soprattutto ai contratti nazionali.
E si parla anche di articolo 18 e quindi di libertà di licenziamento. In effetti qui l'attacco passa attraverso un sotterfugio: si introduce una frase, alla fine del 1° comma dello stesso art. 18, che allarga la platea di lavoratori ai quali non si applicheranno le tutele relative a quest'articolo dello Statuto dei Lavoratori; tutte quelle aziende cioè che procederanno a incorporazioni o che si fonderanno tra di loro potranno licenziare senza che sia prevista la tutela dell'art.18, se il numero dei lavoratori totale e derivante da tali unione non sarà superiore a 50.
Un provvedimento che rappresenta un grimaldello per poi attaccare le condizioni di lavoro e lo stesso articolo 18 nell'ambito dei più ampi provvedimenti sul lavoro che sono in preparazione.

A fronte di ciò Cgil, Cisl e Uil balbettano, si ricompattano al ribasso e chiedono un improponibile "patto sociale" che li riconosca attori di una nuova ed improbabile concertazione, invece di attaccare pesantemente il governo Monti.

Tutto ciò avviene proprio mentre i sondaggi ci dicono che la fiducia in Monti, da un livello quasi plebiscitario è in discesa ed è ora a circa il 50%; che l'84% degli italiani non condivide la necessità di ridurre il peso dello stato nei servizi socio-sanitari, il 90% per quel che riguarda l'istruzione e in generale il 79% (nel 2001 era il 69%) non esprime propensione verso il privato. Lo stesso sondaggio ci dice che soltanto il 36,6% degli italiani si fida dell'Unione Europea, il 22,7% della Banca Centrale Europea e solo il 15,4% delle banche italiane.

Insomma, sembra proprio che gli italiani non si fidino delle privatizzazioni, dell'Unione Europea, delle banche italiane e della BCE: tutto il contrario di ciò che il Presidente Napolitano, Monti e le forze politiche, sociali ed imprenditoriali che lo sostengono stanno cercando di far passare con provvedimenti urgenti finalizzati esclusivamente a preservare gli interessi delle imprese, delle banche italiane e straniere e della finanza internazionale.

Con le privatizzazioni e le liberalizzazioni, con gli attacchi ai diritti e alle condizioni dei lavoratori, con i “patti sociali” finalizzati alla commistione tra gli interessi delle aziende e delle centrali sindacali non si esce dalla crisi, anzi si peggiora e si scava un fossato sempre più profondo tra chi governa e il popolo.

USB e il sindacalismo di base invece hanno indetto lo SCIOPERO GENERALE per il 27 gennaio ed una grande manifestazione nazionale a Roma per la stessa giornata. Una scadenza che, ne siamo convinti, dimostrerà il forte dissenso che si sta aggregando contro Monti e non soltanto contro le singole misure del suo governo. Un'azione di lotta che si pone in contrasto anche con chi, a livello politico e sindacale, non si sta opponendo al massacro sociale che peserà essenzialmente sui lavoratori e sulle fasce di popolazione che già vivono una situazione di forte disagio. Uno sciopero non soltanto utile a dimostrare dissenso, ma indispensabile per iniziare a bloccare un processo che, se non ostacolato, ridurrà milioni di italiani in condizioni di vera e propria povertà.

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LA CONCERTAZIONE E’ MORTA. RIMANE IL CONFLITTO, DA PRATICARE

Dopo che il Governo Berlusconi aveva praticamente chiuso con la concertazione, oggi Monti ne decreta anche formalmente la morte. Non c’è più il rito del grande tavolo convocato in orario da telegiornale per far vedere che i nostri prodi sindacalisti stavano duramente trattando la resa senza condizioni ad ogni richiesta della controparte – sceneggiata andata in onda per svariati anni dal ’92 con pesanti ripercussioni sulla vita dei lavoratori - ma ci saranno sobri incontri tra qualche ministro e le singole confederazioni scelte nel mazzo tra quelle più compiacenti.

Sono i banchieri, bellezza! Verrebbe da dire, gente tosta che sa come guadagnarsi da vivere e che sa fare il proprio mestiere. Basta sceneggiate, basta penultimatum, basta estenuanti maratone con tavoli pletorici (plurali?) di facciata e trattative segrete tra pochi intimi, sempre i soliti più qualche parvenu di gradimento governativo, in cui ci si scambiava il malloppo, a voi la scomparsa della scala mobile, a noi la concertazione, a voi la precarietà, a noi gli enti bilaterali, a voi la riforma delle pensioni, a noi la gestione dei fondi pensione e via rammentando.

Il vero tavolo spesso è quello dei talk show, dove si confrontano robusti opinionisti che invocando il rispetto degli impegni presi con l’Unione Europea esortano a fare presto e di più, ad esempio non nascondendo la malcelata voglia di dare qualche ulteriore sforbiciata al pubblico impiego, magari licenziando qualche centinaio di migliaia di lavoratori pubblici come sta tentando di fare la Grecia su richiesta della troika BCE–UE–FMI.

Insomma tutto si dovrebbe risolvere facendo qualche giro di valzer con bonanniangeletticamusso, negli incontri separati o attraverso i riti televisivi, ma senza alcuna disponibilità a mettere in discussione le scelte operate in ossequio ai diktat dell’Unione Europea e degli interessi dei banchieri che sono obbiettivamente alla guida del nostro Paese. Nel frattempo, piano piano ma senza incertezze, si rimette mano alla rappresentanza sindacale per accompagnare la fine della concertazione con la riduzione dei diritti nei luoghi di lavoro. Ha cominciato Federmeccanica comunicando che chi non ha sottoscritto il contratto nazionale non avrà più alcun diritto in fabbrica. E’ l’articolo 19 bellezza! Verrebbe da dire. E’ quell’obbrobrio sorto dal referendum di parziale modifica dell’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori, voluto dalla sinistra sindacale dell’epoca per contrastare il quesito radicale di totale abrogazione di quella stessa norma che impediva, e impedisce, il pluralismo sindacale, che si prende la rivincita su chi lo ha sostenuto e vinto che oggi un po’ strilla e un po’ tenta accordi sottobanco per scongiurarne l’esito.

E allora? Cosa succede ora? Come si contrastano i progetti di questo governo insediato direttamente da Bruxelles con la benedizione di Napolitano e di tutti i partiti ben contenti di aver trovato qualcuno disponibile a fare il lavoro sporco in nome e per conto?

Nelle ultime dichiarazioni di bonanniangeletticamusso tese a spiegare a Monti che se non si apriva un vero tavolo di concertazione si sarebbe aperta una stagione drammatica evocando la stanca e trita categoria dell’arrivo dei facinorosi e dei provocatori o demonizzando il possibile emergere di tensioni sociali. Insomma o il ritorno ai vecchi ma funzionali riti della concertazione o il caos.

Mai uno che parlasse di utilizzo dello strumento del conflitto sociale come regolatore degli interessi contrapposti: tu mi togli la pensione, mi tagli lo stipendio, mi precarizzi l’esistenza, mi rapini il salario, mi aumenti la pasta, il gas, la corrente, l’affitto, la benzina, l’autobus e io lotto, sciopero, boicotto, manifesto, mi incazzo.

Il 27 gennaio chi pensa che sia il conflitto lo strumento giusto per cacciare il governo dei banchieri e cambiare radicalmente la storia di questo paese cominci a scioperare e a venire in piazza con il sindacalismo di base. Diamogli una lezione di conflitto.

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Licenziare per equità?

Da quando si è insediato, questo governo non ha fatto altro che sottolineare i caratteri della sua manovra: equità, rigore, crescita.

Per ora abbiamo visto solo il rigore: contro i pensionati, i lavoratori dipendenti che andranno in pensione più tardi e con trattamenti più sfavorevoli, i cittadini a medio e basso reddito, che dovranno pagare di nuovo l’ICI, chiamata ora IMU, che si vedranno aggravare i costi di tutti i servizi pubblici, aumentare le tariffe e diminuire le prestazioni a cominciare dai ticket della sanità. Il tutto dietro l’alibi, ormai ampiamente screditato, dell’abbattimento dei privilegi di chi è troppo garantito (sic!) per favorire i giovani!

Ora, tanto per non smentirsi la Ministra dalla lacrima facile, la Dott.ssa Fornero, annuncia che il governo è pronto a passare alla fase due. Avremmo immaginato almeno l’accenno ad un piano d’investimenti per stimolare lo sviluppo e la crescita dei posti di lavoro, macchè, la Ministra, che ha dichiarato di essere contraria ai contratti precari, si è detta favorevole ad un contratto unico che ”non tuteli più il solito segmento iperprotetto”!

In soldoni si tratta di smantellare quelle poche garanzie ancora assicurate dall’art.18 in tema di licenziamenti individuali. Tutta la propaganda della destra di Governo, della Confindustria e, per la verità, anche del centro e di settori non marginali del PD, da anni sostengono che questo articolo della Legge 300/70, lo Statuto dei Lavoratori, sarebbe il vero ostacolo all’aumento dell’occupazione, egoisticamente difeso dai soliti corporativi che impediscono così ai giovani di trovare lavoro.

Nessuno dice che le imprese hanno già tutti gli strumenti per licenziare e lo hanno ampiamente dimostrato in anni di ristrutturazioni e di delocalizzazioni: le grandi aziende ricorrendo a mobilità forzate e CIG, preludio ai licenziamenti di massa, le piccole sotto i 15 dipendenti semplicemente mandando a casa i lavoratori ad ogni accenno di crisi e comunque chiunque fosse indesiderato, visto che non hanno alcun obbligo di giustificare i licenziamenti, non applicandosi ad esse l’art.18 dello Statuto. Solo per la cronaca, le piccole aziende rappresentano nel nostro paese circa il 95 % del mondo produttivo.

L’obiettivo reale è la ricomposizione del profitto attraverso la compressione dei diritti dei lavoratori, altro che innovazione o nuovi investimenti. Per raggiungere questo obiettivo venduto come fattore di crescita del paese, in realtà lo è solo per il profitto, occorre la pace sociale all’interno delle imprese, liberandosi di chi non ci sta.

In nome dell’equità si risolve il problema della precarietà rendendo precari quelli che ancora non lo sono.

La libertà di licenziare, oltre a ridurre il potere di difesa dei lavoratori, rendendoli totalmente subordinati agli interessi del datore di lavoro, li costringe ad assumere su di sé il rischio di impresa. La ridefinizione degli ammortizzatori sociali, chiamata flexsecurity, altro non è che scaricare i costi dell’operazione sulla collettività mentre il surrogato di salario che si propone in cambio del lavoro somiglia fin troppo al sussidio di beneficienza della grande depressione degli anni trenta, più volte evocata come spettro per convincerci a diventare più poveri per paura della povertà.

I costi sono già coperti dal taglio di pensioni, servizi, salari, un vero e proprio fondo in nero per operazioni di sostegno alle imprese, una sorta di tangente al contrario per la incapacità di fare impresa.

Trasformare il salario da lavoro in indennità di povertà è un’idea che viene da lontano; ridefinita ora come uscita dolce dal lavoro, la teorizza Ichino, la utilizza Sacconi, la riprende Monti che è andato a lezione dai danesi che già la praticano. La pressante richiesta di CGIL CISL UIL per riprendere la concertazione sindacale è comprensibile, i nuovi ammortizzatori sociali possono essere un nuovo grande affare.

A LORO interessa solo la CONCERTAZIONE!

Bonanni lo ha dichiarato con estrema franchezza: ’Sul mercato del lavoro debbono trattare le parti sociali, noi e gli industriali. Il governo deve venire al tavolo per dare sostegno e strumenti alle opinioni delle parti’.

L’accordo del 28 giugno, definito dalla Camusso come la nuova concertazione, ha mostrato ai lavoratori quanto essa sia dannosa per i loro interessi cancellazione di fatto del Contratto nazionale, libertà di deroghe su tutti gli istituti contrattuali e normativi. Se la Confindustria ha definito tale accordo come lubrificante dell’articolo 8 della manovra di Berlusconi qualche motivo ci sarà stato. Questo modo di riproporre le relazioni industriali ha consentito alla meteora Marchionne di tirar dritto per la sua strada.

Il contratto sottoscritto da FIM UIL FISMIC e UGL con la FIAT per tutte le fabbriche del gruppo realizza il nuovo modello contrattuale liberato da contratti nazionali, leggi e diritti; e non è un caso la sensibilità dimostrata da Marchionne per il nuovo governo, il solo in grado di portare a sistema il modello Pomigliano.

Quello che sta succedendo alla Fiat è esattamente quanto dobbiamo aspettarci dall’orgia ideologica dell’attacco all’articolo 18: per non garantire i non garantiti togliamo quelle poche garanzie a chi ancora le ha. La politica industriale del governo prevede per tutti relazioni industriali basate sul modello delle piccole imprese che derogano su tutto, un vero proprio processo di terzomondializzazione dell’intero sistema sociale.

A tutto ciò occorre rispondere con una forte opposizione, con chiarezza di obiettivi e con parole d’ordine capaci di mobilitare lavoratori, precari, movimenti sociali in nome di un nuovo modello sociale solidaristico che ponga innanzitutto la richiesta della redistribuzione della ricchezza sociale prodotta. Non è un problema risolvibile con la trattativa per riduzioni marginali del danno, ma con un’opposizione vera che si contrapponga alle scelte politiche di governo e imprese.

Lo sciopero proclamato per il 27 gennaio non è solo contro questa manovra, ma deve essere sentito come l’inizio della nostra contromanovra sociale. Questa è la sfida che abbiamo davanti, altro che ripresa della concertazione!


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NOI NON CI STIAMO, SARA' SCIOPERO GENERALE




il testo della manovra (DL.201/2011).



La manovra varata dal Governo Monti è la prima manovra non democristiana del nostro Paese. Lo dimostrano gli strilli di Bonanni ed Angeletti.

Un governo politico di tecnici ha prodotto una manovra scientifica, priva di sbavature, senza appello. Una lucida scelta di totale internità al quadro politico di gestione europea della crisi verso la totale integrazione in un super stato europeo - sotto l’egida di Francia, Germania e, se si comporta bene come sta facendo, anche della nuova Italia a guida tecnocratica -, che assuma un’unica governance delle politiche fiscali, delle scelte sul piano internazionale, sulla difesa, sulle politiche sociali eliminando le sovranità nazionali.

Una manovra di destra, “in continuità migliorata” con le scelte di Tremonti, Sacconi e Berlusconi che avrebbero voluto fare le stesse cose ma non ci sono riusciti, per colpa loro e non dell’opposizione.

Ora la manovra c’è e come era prevedibile colpisce duro la parte più debole del confronto tra capitale e lavoro per ristabilire il completo comando dei padroni, delle banche , della borghesia.

La manovra è in questo senso anche una manovra politica e politiche sono le scelte operate. Togliere l’indicizzazione delle pensioni al costo della vita, peraltro sempre al ribasso rispetto alla realtà, e non procedere all’aumento delle aliquote Irpef per i redditi più alti non è una scelta di campo, e quindi politica?

Aumentare l’età pensionabile anche oltre i 40 anni di lavoro – che sono già un’enormità – e farci rimanere fino a 70 anni, quindi chiudere ogni spazio all’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, estendere il contributivo a tutti e quindi produrre un abbassamento consistente delle pensioni per favorire ancora di più i fondi pensione privati che stentano a decollare sono scelte politiche per non dire ideologiche.

Non introdurre nessun serio provvedimento per combattere l’evasione fiscale, non colpire i patrimoni di quel 10% che detiene il 50% della ricchezza sono scelte politiche, di destra.

Tornare ad aggredire il reddito con la reintroduzione dell’ICI sulla prima casa, dopo aver per anni interrotto la costruzione di case popolari e costretto milioni di famiglie all’indebitamento per acquistarne faticosamente una, è non solo una scelta politica ma anche di scarsa lungimiranza perché oggettivamente recessiva.

Raddoppiare le spese per le missioni “di pace” è una scelta politica di destra, come le privatizzazioni, le liberalizzazioni e la svendita del patrimonio pubblico.

La scientificità e la non democristianità della manovra sta anche nell’approccio nuovo che il governo ha avuto nei confronti delle parti sociali che ora chiamano allo sciopero non sui contenuti della manovra ma sul reato di lesa maestà.

Bonanni, Angeletti e la Camusso sono in balia degli eventi. Si trovano orfani della consolidata prassi della condivisione preventiva che avevano sempre avuto garantita, chi più chi meno, e temono per la perdita di funzione e quindi invocano la riapertura di canali di concertazione che, comunque, non mancheranno quando si tratterà di metter mano al contratto nazionale o allo Statuto. Devono contenere la spinta e la rabbia interna per non rischiare di mettere in crisi i rispettivi partiti di riferimento che sono tutti proni al governo di salvezza nazionale; sono più interessati a farsi sgambetti, nell’ottica della regolazione dei conti fra loro, con la convocazione di scioperetti di facciata che a capire dove si trovano e che sta succedendo.

Eppure ci troviamo immersi in una crisi di cui non si vede la via d’uscita, ci sta succedendo che nessuno, se non i mercati, ha più alcuna voce in capitolo. Tutti sanno che questo non si risolverà dentro l’ambito dell’Unione Europea e del ricatto del pagamento del debito, solo che fanno finta di non saperlo e di non vederlo perché hanno scelto di starci dentro, immersi fino al collo, senza provare a darsi una prospettiva diversa.

Per questo uno sciopero generale non può che essere costruito sulla parola d’ordine della cacciata del Governo Monti, sul non pagamento del debito, sull’uscita dall’Unione Europea. A questo dobbiamo lavorare, per costruire, all’inizio del nuovo anno, un movimento ampio e duraturo che sia capace di produrlo.





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La BCE ordina, la Politica obbedisce. L'Italia non è più sovrana



Lettera della BCE

29/09/2011
La pubblicazione della lettera sottoscritta da Mario Draghi e Jean-Claude Trichet che la BCE (Banca Centrale Europea) ha inviato il 5 agosto scorso al Governo italiano, mette fortemente in discussione la sovranità nazionale, l'indipendenza del Governo e del Parlamento, l'inviolabilità della Costituzione e la credibilità di quei partiti e quei sindacati che hanno condiviso o non si sono concretamente opposti alle manovre del governo.

E' chiaro perché la lettera, che riportiamo in allegato, fosse stata stata “secretata” da Berlusconi: con essa si dimostra infatti senza ombra di dubbio che le misure dettate dalle Banche e dal Capitalismo finanziario europeo sono state applicate dal governo italiano quasi integralmente nei contenuti, come sono state seguite le indicazioni di metodo (decreto legge) e dei tempi (entro settembre).

C'è anche da dire che alcune misure, anche se discusse, non sono state ancora del tutto applicate, ma, come ben vediamo in questi ultimi giorni, rappresenteranno sicuramente il prossimo capitolo di una “manovra” che si presenta ormai senza una fine precisa e che, se non interrotta, ci porterà dritti dentro il tunnel in cui già si trova la Grecia.

Da sottolineare i contenuti della lettera che riguardano il lavoro e che tra l'altro prevedono “.... di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d'impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. L'accordo del 28 Giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione.”
Esattamente ciò che è avvenuto con gli accordi sindacali e con la manovra del Governo Berlusconi-Tremonti!

In altre parti della lettera sul tema del lavoro si parla esplicitamente di libertà di licenziamento, di taglio di occupazione e di salari dei pubblici dipendenti e di pensioni, ma il breve passo che abbiamo riportato mostra in tutta la sua sconvolgente semplicità quello che stiamo ripetendo con forza da settimane rispetto alla gravità dell'accordo del 28 giugno e dell'art. 8 della manovra.

E le “richieste” della BCE contrastano ferocemente anche con quello che sostiene invece la Camusso e cioè che l'accordo del 28 giugno limita l'art. 8 della manovra del governo lasciando spazio alla determinazione dei sindacati (Cisl, Uil e Cgil) e della Confindustria.

E' invece vero l'esatto contrario: l'art. 8 recepisce e utilizza l'accordo del 28 giugno, rendendolo se possibile ancor più pesante ed oppressivo e la ratifica che hanno firmato il 21 settembre Cgil, Cisl, Uil e Confindustria sancisce la formale accettazione dell'art. 8 della manovra da parte di sindacati e industriali, compresa quella Cgil che aveva chiamato i lavoratori allo sciopero del 6 settembre e che in questi giorni vede un riavvicinamento tra la Camusso e la maggioranza Fiom di Landini, escludendo la sinistra interna.

Ciò dimostra ancor di più che le alchimie interne alla Cgil ed alle altre sigle sindacali che Sacconi definì “collaborative”, poco spostano e soprattutto poco hanno a che vedere con le lotte e le mobilitazioni che i lavoratori dovranno continuare a mettere in atto sin dai prossimi giorni, che alla lotta di classe che le banche, gli industriali, la finanza e la destra europea stanno attuando contro i popoli d'Europa, non si può rispondere con soluzioni tutte interne alle logiche liberiste fatte proprie anche da una certa sinistra.

Per superare la crisi serve invece un radicale, imponente e progressivo cambiamento del sistema economico e sociale. Serve lanciare con ancora più forza la necessità di non pagare il debito, di nazionalizzare le banche e le aziende strategiche per il paese, di modificare strutturalmente i meccanismi capitalistici che sono alla base della crisi che sta investendo l'Europa e gran parte del mondo.

Gli appuntamenti e le iniziative che vanno in questa direzione e non invece verso una semplice alternanza/alternativa di poteri che prevedono le stesse ricette economiche di fondo, sono tutti da percorrere ed attraversare, per giungere alla manifestazione nazionale del 15 ottobre che si svolgerà a Roma e di cui siamo promotori insieme ad altre forse sindacali e sociali ed alla quale invitiamo a partecipare e preparare attivamente tutte le lavoratrici ed i lavoratori, i pensionati, i disoccupati, i precari ed i migranti.
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La manovra del governo, di confindustria, delle banche e dei poteri forti dell'Europa è macelleria sociale: noi non ci stiamo.





Nazionale- mercoledì, 17 agosto 2011

Serve una piattaforma alternativa a quella di padroni e banche, lo sciopero generale e generalizzato e soprattutto una forte e prolungata mobilitazione

La "manovra anticrisi" del Governo Berlusconi sarà discussa in Senato in ambito di Commissione in questi giorni e dovrebbe approdare in aula il 5 o 6 settembre. Nonostante la conversione in legge del decreto possa essere effettuata entro 60 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e cioè entro metà ottobre, i tempi di discussione nei due rami del Parlamento dovrebbero essere rapidi, anche se la "promessa" è di non ricorrere al voto di fiducia. Naturalmente potrebbero esserci delle modifiche richieste da maggioranza ed opposizione ma il peso ed il senso di questo vero e proprio massacro sociale non cambierà. Tra l'altro proprio una delle ipotesi di modifica si sta tramutando, se possibile, in un peggioramento:si parla di cancellazione del cosiddetto Contributo per i redditi oltre i 90.000 ed i 150.000 euro (rispettivamente del 5 e del 10% ) per introdurre aumenti dell'IVA che colpirebbero tutti ed in proporzione maggiore rispetto al potere d'acquisto dei salari, coloro che guadagnano meno.

Senza entrare nel merito di tutti i punti previsti dalla manovra, riteniamo necessario approfondirne alcuni ed esprimere un giudizio generale su altri.

- Il primo aspetto è quello relativo al lavoro. Sul Pubblico Impiego si accentua la scure salariale e normativa, già approntata con le misure di questi ultimi anni e ulteriormente definita con la manovra del luglio scorso. Si prevede inoltre l'abolizione dei regali di Natale e del cenone di Capodanno, vista la possibilità di congelare la 13a con restituzione l'anno successivo in tre rate. Il TFR, che è salario differito, cioè soldi dei lavoratori di cui altri non possono disporre a piacimento e che rappresenta il risparmio di una vita di lavoro, viene "concesso" dopo 24 mesi dal pensionamento, come se non fosse noto che proprio nel momento nel quale si va in pensione con una busta paga molto inferiore allo stipendio, è più necessario un sostegno economico.

L'abolizione di un certo numero di province e l'accorpamento dei comuni sotto i 1.000 abitanti, misura pensata e fatta con i piedi in ogni suo aspetto, colpirà ulteriormente l'occupazione e la "liberalizzazione" dei trasferimenti renderà tutti un po' più precari.

Nel Privato, oltre alla misura che alza anticipatamente l'età pensionabile delle donne, portando tutti a 67 anni nel 2016 ed a 70 qualche anno dopo, si è scatenato l'appetito di Sacconi, di Marcegaglia e di Marchionne.

Utilizzando la manovra si sono inserite misure e provvedimenti che nulla hanno a che vedere con la crisi e con i risparmi sui conti dello stato. I Contratti aziendali potranno prevedere deroghe ai Contratti nazionali ed alle leggi vigenti su quasi tutte le materie contrattuali, dall'orario di lavoro, alle mansioni, ai licenziamenti, ecc.

Con un solo colpo si cancella quindi quasi tutto il peso del Contratto nazionale e si prevede la supremazia della contrattazione aziendale sulle leggi dello stato e la cancellazione dello Statuto dei Lavoratori. Sacconi premia così la Fiat e la Confindustria e i sindacati che "collaborano", pronti ad ascoltare ed esaudire le richieste delle aziende.

Visto poi che ciò non era giuridicamente sufficiente a far felice Marchionne, il Governo ha regalato anche la retroattività, santificando così i contratti di Mirafiori e Pomigliano.

La contrattazione nazionale muore e quella aziendale si parcellizza, diventando sempre più "separata" e sempre meno "collettiva".

- Le privatizzazioni, le liberalizzazioni e la cessione delle partecipazioni pubbliche in aziende a capitale misto, diventano oggetto di ricatto agli Enti Locali. Questi ultimi devono rispettare bilanci, manovre di stabilità, tagliando servizi e aumentando le tasse, sapendo che se si vendono i "gioielli di famiglia", saranno considerate "amministrazioni virtuose", limitando di qualche decimale i tagli imposti. Pochi si soffermano però sull'aspetto più importante: tagliare una quota così importante di fondi a Regioni, Province e Comuni, vuol dire colpire alla radice il ruolo sociale degli enti locali e si traduce in nuove tasse per i cittadini e minori servizi. Entrambe queste conseguenze ricadono pesantemente soprattutto sulla popolazione che in modo più concreto sta già pagando la crisi, sui precari, sui pensionati, sui disoccupati e su quelle famiglie che pur utilizzando il salario di uno o più componenti, non riesce comunque ad arrivare a fine mese.

Liberalizzare e privatizzare vuol dire anche aumentare ritmi di lavoro e ridurre i salari dei lavoratori e fornire servizi scadenti ai cittadini. Vuol dire ridurre all'osso quei servizi di pubblica utilità che sino ad oggi hanno rappresentato un welfare locale e di prossimità.Vuol dire fregarsene del risultato plebiscitario del Referendum sull'acqua pubblica che invece ha rappresentato un NO secco all'intera filosofia delle liberalizzazioni dei servizi pubblici e non solo dell'acqua.

- Evitiamo volutamente di parlare di costi della politica, misura questa parziale, limitata e tardiva. Come non entriamo nel merito del furto del 1° Maggio, del 25 Aprile e del 2 Giugno. L'ultimo aspetto che invece vogliamo approfondire è l'estrema l'inadeguatezza della lotta all'evasione e la mancanza di una super patrimoniale. Da questi due provvedimenti sarebbero potuti emergere centinaia di miliardi di euro e si sarebbe in parte riassorbito quell'enorme squilibrio sociale che permette al 10% della popolazione di possedere il 50% della ricchezza del paese.

La demagogia non ha limiti e così si cerca di far passare il contributo del 5% e 10% dei soli "dipendenti ricchi" quale elemento di giustizia sociale. Senza cioè colpire l'evasione fiscale che è evidente nell'ambito del lavoro autonomo (che in media dichiara circa 30.000 euro l'anno) ed i grandi patrimoni frutto di un sistema iniquo che permette a pochi di fare soldi e profitti e a tanti di fare la fame.

Della manovra è certamente contenta la maggioranza di governo, anche se con qualche paradossale mal di pancia per non aver colpito di più le pensioni e meno gli stipendi più alti dei dipendenti..

Altrettanto felice è la Confindustria, anche se anch'essa avrebbe volto subito qualche anno di lavoro in più e qualche anno di pensione in meno.

Abbastanza soddisfatti Cisl, Uil e Ugl che dicono di essere in presenza di luci ed ombre, ma che di fatto vedono premiato il loro "collaborare" con aziende e governo.

Sconcertante la posizione di gran parte dell'opposizione parlamentare che balbetta e che da una parte si presenta come "responsabile" per non deludere Napolitano e Draghi e dall'altra denuncia la manovra come antipopolare ma non fa nulla per sollecitare una vera risposta "popolare" alla manovra.

La Cgil, che da mesi ha avviato una trasformazione genetica per portarsi allo stesso "livello" della Cisl, non riesce proprio ad azzeccarne una e dopo la firma dell'Accordo con Cisl, Uil, Ugl e Confindustria e dell'insano Appello insieme agli stessi attori più le Banche, si trova oggi a dichiarare di voler scioperare come se nulla fosse accaduto negli ultimi mesi, come se non si comprendesse che il collegamento a filo doppio con il PD impone di non eccedere e al tempo stesso di sostenere "l'ambiguità" e la inadeguatezza dell'opposizione di questo partito. Il 23 agosto probabilmente indirà lo sciopero, ma su quale piattaforma, per sostenere cosa, per dire no a quali punti …. non è dato sapere.

USB ritiene che si sia ad un punto cruciale della storia politica e sociale del paese e che la crisi stia facendo emergere con inaudita violenza le contraddizioni che da anni sono tenute debitamente sotto traccia per non far esplodere il dissenso e l'opposizione.


Se la crisi è sistemica non può certo essere affrontata con piccoli accorgimenti che non modificano la struttura del sistema che è la vera causa della crisi. Al contrario si deve agire sul sistema stesso, su una idea di società e di sviluppo completamente diversa, su misure di reale giustizia sociale che affrontino e modifichino la struttura della società e dei rapporti che in essa sono ormai sfibrati ed iniqui.

NON ACCETTEREMO ALCUN SACRIFICIO PER SALVARE BANCHE E PADRONI
COME CHIEDE L'EUROPA:PRIME PROPOSTE PER AFFRONTARE LA CRISI

> lotta senza quartiere all'evasione/elusione fiscale e contributiva
> blocco delle spese militari e rientro di tutte le missioni militari all'estero
> cancellazione del debito
> patrimoniale e forte tassazione delle rendite e delle transazioni finanziarie;
> modifica della normativa fiscale a sostegno del lavoro dipendente e dei redditi
nazionalizzazione delle banche e delle grandi imprese strategiche
> ricostruzione di uno strumento statale capace di rilanciare e finanziare la produzione e i servizi
> nessuna costituzionalizzazione del pareggio di bilancio e del libero mercato
> riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario
> sblocco di tutti i contratti e istituzione del reddito sociale per precari e disoccupati
> legge democratica e pluralista sulla rappresentanza e la democrazia nei luoghi di lavoro

USB ha lanciato un appello a tutte le forze sindacali conflittuali per costruire una fortissima mobilitazione in tempi brevissimi. Due scioperi nazionali sono già stati lanciati da due categorie: i lavoratori del pubblico impiego sciopereranno per due ore il 9 settembre ed il 19 settembre saranno i lavoratori del trasporto pubblico locale a bloccare le città italiane per 4 ore.
E' però indispensabile indire in tempi brevi lo SCIOPERO GENERALE e GENERALIZZATO a tutte le realtà sociali del paese e soprattutto è indispensabile dare il via ad una MOBILITAZIONE FORTE E CONTINUATA NEL TEMPO che faccia finalmente comprendere che:
IL LAVORO NON E' SCHIAVITU' e I CITTADINI NON SONO SUDDITI.
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