70 GLI ANNI IN CUI IL FUTURO INCOMINCIO'
I DIECI ANNI CHE HANNO SCONVOLTO L'ITALIA...E NON SOLO.
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Le lotte che misero in crisi lo status quo
Il mondo uscito dal secondo conflitto mondiale conteneva i germi della trasformazione innescata dalla Resistenza contro il nazifascismo. A essere investiti dallo sconvolgimento furono gli imperi coloniali europei, usciti indebitati e indeboliti dalla guerra. La Gran Bretagna perse l’India, il Sud est-asiatico, l’Egitto e il Medio-oriente; la Francia si rassegnò alla perdita dell’Indocina, della Siria e del nord-Africa.
Ad assumersi il compito di bastione della reazione fu la potenza emergente, gli Stati Uniti, che, favoriti dallo sviluppo industriale e dall’egemonia del dollaro, sostennero lo sforzo bellico in Corea e in Vietnam con l’invio di truppe e armi.
In Europa, dopo aver creato la Nato, tollerarono i regimi dittatoriali di Franco in Spagna, di Salazar in Portogallo e avallarono il colpo di stato dei colonnelli in Grecia.
In America latina, considerato il proprio cortile di casa, le amministrazioni democratiche e repubblicane non risparmiavano fondi per destabilizzare i governi legittimi, rovesciati di volta in volta dai militari golpisti che imponevano lo stato di polizia e istituzionalizzavano la tortura.
Quello che non era riuscito con lo sbarco a Cuba nei primi anni Sessanta, fu atrocemente realizzato nel 1973 nel Cile di Allende e di Unitad popular. Lo stato di cose presente, cristallizzatosi nello stallo della cinica e fredda contrapposizione tra Usa e Urss, fu però messo in discussione da un’ondata di proteste, rivolte e radicali cambiamenti.
Il 28 agosto 1963 il cuore dell’impero, Washington, fu scosso da una marcia in cui confluirono i militanti del movimento pacifista e gli attivisti del variegato fronte per la rivendicazione dei diritti civili dei neri. Martin Luther King tenne il discorso che mise palesemente in contraddizione l’astratta dichiarazione dei principi costituzionali con la quotidiana violazione delle libertà individuali negate agli afro-americani. Le aspirazioni ideali enunciate oltreoceano furono accolte in Europa dal nascente movimento di protesta giovanile che, sprigionatosi nelle università, si saldò con le rivendicazioni sindacali in fabbrica.
Il fermento mobilitò ampi strati della popolazione e l’impegno dei protagonisti per un mondo meno squilibrato e più giusto ottenne dei tangibili risultati. Nel primo quinquennio degli anni Settanta caddero i regimi totalitari in Spagna, Grecia e Portogallo. L’Angola e il Mozambico raggiunsero l’agognata indipendenza e i vietcong costrinsero i marines a una precipitosa e indecorosa fuga da Saigon.
I giovani avevano dunque la percezione che il rinnovamento era non solo desiderabile ma anche possibile. In Italia, la rivoluzione culturale rimodellò i rapporti di forza nelle aziende con la sospirata approvazione dello Statuto dei lavoratori; assestò un duro colpo all’oscurantismo clericale con la vittoria referendaria sul divorzio; contestò il principio di autorità nella scuola, in famiglia e nella relazione tra uomini e donne.
Quei giovani ingenui ma pieni di entusiasmo non si resero tuttavia conto che le leve del potere restavano saldamente nelle mani delle classi dirigenti, che le usarono per recuperare il terreno perduto, delegando la repressione ai governi e pilotando l’imminente robotizzazione della catena di montaggio. La disgregazione della concentrazione tayloristica dell’operaio-massa fu devastante, così come la neutralizzazione delle manifestazioni di piazza con l’impiego delle leggi varate contro il terrorismo. Il disorientamento cominciò a prendere il sopravvento e il subentrato disincanto alimentò un malinconico riflusso. Le soluzioni personali sostituirono le istanze collettive e un’insorgente rassegnazione spinse a trovare illusorie compensazioni nel narcisistico consumo delle merci.
L’amarezza di quella sconfitta, maturata negli anni Ottanta e consolidatasi nel ventennio berlusconiano, emerge nei puntuali e approfonditi interventi raccolti nella rassegna antologica curata dalla redazione del quotidiano Liberazione. I dodici fascicoli, pubblicati nel 2007, ricostruiscono la tumultuosa atmosfera degli anni che misero in crisi lo status quo, l’euforico clima che si respirava nelle partecipate assemblee, la passione che animava i manifestanti in sciopero nell’urlare la determinazione a voler essere soggetti attivi e innovativi della società.
Rileggerli oggi, a oltre quindici anni dalla loro edizione, quelle analisi producono una sensazione di sgomento nel constatare l’abissale scarto che ha allontanato, cronologicamente e politicamente, quella liberatoria rivolta dal plumbeo stordimento in cui siamo attualmente immersi.
Eppure i temi, prepotentemente inseriti all’ordine del giorno dell’agenda internazionale oltre cinquant’anni fa, non hanno perso la loro carica di impellente problematicità. Sono stati ripresi e discussi più volte, ma puntualmente disattesi dai responsabili di un modello di produzione che rimane indifferente alle disuguaglianze sociali e allo sperpero delle risorse, entrambi causati da un miope sfruttamento della forza-lavoro e dallo scriteriato utilizzo delle materie prime.
Nel 2001, al G20 di Genova, le occasioni di dibattito create dal forum sullo sviluppo sostenibile sono state violentemente travolte dall’ottusa sospensione dei diritti in una città sorvegliata dai reparti speciali della polizia e dei carabinieri. Nello stesso anno, l’attacco alle torri gemelle di New York ha scatenato l’impulso distruttivo alla guerra da sempre covato dall’industria delle armi.
Lo schieramento arcobaleno non è riuscito a interporsi tra l’impeto della ingiustificata invasione dell’Iraq, seguita dalla ventennale cronicizzazione dell’occupazione in Afghanistan, e la passività di un’opinione pubblica mondiale narcotizzata dalla propaganda bellicista.
Le stesse dinamiche si sono riproposte con l’insensato scontro in Ucraina, aggravato da una ripercussione inflazionistica che ha decurtato il potere d’acquisto di stipendi e pensioni. Intanto, l’inestinguibile flusso migratorio dai Paesi colpiti dalla povertà e da fenomeni ambientali estremi ha innescato una istintiva paura puntualmente strumentalizzata dai partiti di destra. Una destra nostalgica che, guidata dall’oltranzismo di Orban, Le Pen, Meloni e Morawiecki, potrebbe spostare alle prossime elezioni europee l’orientamento ideologico del Parlamento di Strasburgo.
È di fronte a questa impennata regressiva che insorge un latente senso di impotenza, maturato in anni di insuccessi dei governi di centro-sinistra e di anemiche proposte di ciò che resta delle formazioni di sinistra.
Ripercorrere le pagine del reportage del 2007, immesso in rete sul sito, non rappresenta certamente un conforto psicologico, perché induce a prendere atto di una deriva concretizzatasi in un disarmante livello di acquiescenza delle masse popolari. A chi è ancora in grado di affidarsi alla propria autonomia di giudizio può, tuttavia, aprire gli occhi sia su quanto è andato perduto nella soddisfazione dei bisogni primari sia sul progressivo peggioramento della qualità dei servizi: dalla sanità alla scuola, dai trasporti alla protezione degli svantaggiati, fino alla imparziale promozione delle opportunità per le future generazioni.
In un periodo storico di sradicamento dell’appartenenza sociale e di smarrimento della coscienza di classe, l’esercizio della memoria che mette a confronto il passato con il presente non è da sottovalutare. Anzi, è senz’altro salutare. Da qui l’invito del coordinatore del sito a riprendere la lettura delle riflessioni formulate da un nutrito e qualificato gruppo di giornalisti, studiosi, testimoni diretti e indiretti. Tra cui è da annoverare il fotografo Tano D’Amico, le foto del quale tessono un’organica ed evocativa trama tra il testo e le immagini di un mondo che fu.
settembre 2023 Michele CRUDO
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